Come giocarsi la propria vita

Il Vangelo della domenica di Paolo Curtaz

La Chiesa conclude oggi il percorso dell’anno liturgico, salutando Matteo, il pubblicano diventato discepolo. E lo fa con una festa ed un vangelo intensi, di difficile comprensione immediata: la Solennità di Cristo re dell’Universo. No, la Chiesa non ha nostalgie monarchiche e non dobbiamo guardare ai (pochi e incoerenti) regnanti di questa terra per prendere esempio. L’immagine, forse un po’ da svecchiare, intende comunicare una fortissima professione di fede: Gesù il falegname di Nazareth, quell’ebreo marginale vissuto duemila anni fa e perso nei meandri oscuri della storia è il Signore dell’Universo, colui che ha l’ultima Parola, colui che dà misura e senso ad ogni esperienza umana, che svela il mistero nascosto nei secoli.

Le vicende umane non stanno precipitando in un baratro di violenza e di caos, ma nelle braccia di Dio. Ci vuole molta fede per fare una tale affermazione, ve ne do atto, soprattutto dopo duemila anni di cristianesimo in cui le cose non sembrano cambiate in meglio.

Giudizio universale, Giotto (1306 ca.). Padova, Cappella degli scrovegni

Dire che Cristo è “sovrano” della mia vita, significa riconoscere che solo in lui ha senso il nostro percorso di vita e di fede. Ed è bello, alla fine di quest’anno, ribadire con forza, insieme, questa nostra convinzione. Leggendo il vangelo conclusivo di Matteo restiamo sconcertati ed interdetti.

Il clima è cupo, la visione di questo giudice implacabile come alcuni pittori ce l’hanno riportata, il possente Cristo di Michelangelo della cappella Sistina, ad esempio, fa paura. Cosa ha che vedere questa pagina con il resto del vangelo?

Matteo si è sbagliato? O ci siamo sbagliati noi quando continuiamo a professare il volto di un Dio compassionevole? Due sono le novità apportate dal vangelo di Matteo: Gesù lascia intendere che è lui che curiamo nel povero, identificandosi nell’uomo sconfitto.

In secondo luogo questa identità è sconosciuta al discepolo che resta stupito nell’avere soccorso Dio senza saperlo.

Il messaggio che Matteo ci rivolge è piuttosto chiaro: l’incontro con Dio cambia il tuo modo di vedere gli altri, riesci ad incontrarlo anche nel volto sfigurato del povero.

Gesù non parla di “buoni” poveri o di carcerati vittime di un errore giudiziario! Anche nel povero che ha sperperato tutto per colpa o nell’omicida (!) possiamo riconoscere un frammento della scintilla di Dio! Gesù ripete la stessa idea, ma in negativo, questa volta. Come era consuetudine per i rabbini, che sempre ribadivano il proprio insegnamento una volta in positivo e una volta in negativo. Per calcare la mano Gesù conclude che colui che non lo riconosce brucerà nel fuoco della Geenna. Il Signore ci chiederà se lo avremo riconosciuto, nel povero, nel debole, nell’affamato, nel solo, nell’anziano abbandonato, nel parente scomodo. Sì: avete capito bene. Il giudizio sarà tutto su ciò che avremo fatto.

E sul cuore con cui lo avremo fatto. La fede è concretezza, non parole, la preghiera contagia la vita, la cambia, non la anestetizza, la celebrazione continua nella città, non si esaurisce nel Tempio.

Allora, certo, la preghiera, l’eucarestia, la confessione, sono strumenti di comunione col Cristo e tra di noi per fare della nostra vita il luogo della fede.

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