Il silenzio di Liliana Segre

di Federica Spinozzi

Scende dal palco della Fenice, si avvia verso l’uscita chiedendo il silenzio. Ha l’andatura lenta e stanca di chi ha compiuto un sforzo enorme, ha lo sguardo intenso e fiero di chi ha vissuto un ‘esperienza coraggiosa, oserei dire sacra. Liliana Segre ha appena incontrato studenti tra i 13 e i 15 anni delle scuole di Senigallia; ha raccontato la sua dolorosissima storia rivivendo il dramma della bambina milanese esclusa e additata, del carcere, del lungo viaggio verso una destinazione ignota, della separazione dal padre, della prigionia ad Auschwitz, della sparizione di tante donne, della libertà e del ritorno ad una vita “normale”. Ci chiede il silenzio.

Ci allontaniamo dal teatro, ci avviamo verso Pesaro, città di origine del marito. Nel primo viaggio da Pesaro a Senigallia, insieme al preside Santini, il dialogo è stato vivace e introduttivo all’appuntamento con i giovani delle nostre scuole. Ma il ritorno quasi tutto silenzioso, un tacere molto eloquente, penetrante, affollato di perché, di rabbia, di ammirazione, di mille emozioni contrastanti. Tutto rigorosamente in silenzio. Liliana Segre ci spiega infine che al termine di ogni incontro ha un solo desiderio, buttarsi a terra, raggomitolarsisu se stessa e piangere restando sola: tutto impossibile, se non la richiesta di silenzio per superare l’enorme fatica fisica ed emotiva del racconto.

Da pochi giorni la sua vicenda è balzata su tutte le prime pagine dei giornali, le interviste e i filmati a suo riguardo hannoraggiunto in poche ore cifre altissime di visualizzazioni.

La decisione del presidente Mattarella di nominarla senatrice ha generato reazioni forti, dato il momento storico e politico italiano ed europeo. è superfluo pertanto ripercorrere qui la sua storia, nota ormai ai più; ma sento forte il dovere di soffermarmi su quel silenzio e quella spiegazione, raccolta in privato, che spesso ricordo e racconto, soprattutto ai più giovani, ai miei figli, ai miei alunni, che non ho letto da nessuna parte ma ho avuto la “fortuna” di osservare in tutta la sua potenza. è il grido della vittima della violenza, è l’urlo di chi subisce ingiustizie inimmaginabili: tacere non equivale a nascondere, a far finta di nulla, bensì è la reazione inevitabile di chi, ultimo tra gli ultimi, ha perso tutto, persino la voce e non trova parole adeguate per narrare simili ingiustizie e violenze. Solo a 60 anni Liliana Segre ha trovato le parole per raccontare e per dare un senso ad una storia indicibile e mostrare quel numero tatuato nel braccio, non come vessillo di vendetta e di odio, ma come emblema di pace e di libertà a nome di tutti coloro che sono stati eliminati.

Ho appena concluso di scrivere queste poche righe e rileggendole scopro che, senza premeditazione, ho usato i verbi al presente; in realtà ho ricordato un incontro avvenuto il 3 novembre del 2005, oltre dodici anni fa; l’emozione di quelle ore, la trepidazione di quell’incontro sono più che mai vive e lucide nella mente, perché hanno avuto la forza di penetrare nel cuore. E tutto ciò che fa vibrare le corde più intime resta indelebile tanto da scartare ogni forma verbale al passato. E’ quello che la nuova senatrice desidera con tutte le sue forze: consegnarci accesa la fiaccola della memoria.

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