Il giornalismo che costruisce pace
Domenica 13 maggio 2018 si celebra la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali: “Fake news e giornalismo di pace”.
Il desiderio di un’informazione rispettosa.
Promuovere un giornalismo di pace, “un giornalismo fatto da persone per le persone”. È la sfida che Papa Francesco ha lanciato al mondo dell’informazione mondiale con il suo Messaggio per la 52a Giornata delle Comunicazioni Sociali che, in molti Paesi, si celebra domenica 13 maggio, festa dell’Ascensione del Signore. Nel documento, pubblicato il 24 gennaio scorso, incentrato sulla verità e appunto sul giornalismo di pace, il pontefice auspica un giornalismo che sia al servizio di tutte le persone, specialmente di quelle “che non hanno voce”. Un giornalismo, sottolinea Francesco, “impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale”.
Il legame tra il giornalismo e la pace, tra l’informazione e la cultura dell’incontro sta particolarmente a cuore a Papa Francesco. Già nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2016, il Pontefice ha sottolineato che i mezzi di comunicazione sociale hanno una grande responsabilità per “vincere l’indifferenza” e costruire la pace. E questo innanzitutto ponendosi “al servizio della verità e non di interessi particolari”. Il Messaggio sottolineava quindi che, soprattutto rispetto ai giovani, i mezzi di comunicazione “non solo informano, ma anche formano lo spirito dei loro destinatari” e quindi è fondamentale che i giornalisti vigilino sul modo in cui ottengono e diffondono le informazioni.
Informazione “strumento di costruzione”, non “arma di distruzione”. Sul tema, Francesco torna con vigore nel discorso al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti italiani. Il giornalismo, afferma il 22 settembre 2016, “deve sempre rispettare la dignità della persona”.Certo, osserva, “la critica è legittima” così come “la denuncia del male, ma questo deve sempre essere fatto rispettando l’altro”. Il giornalismo, è il monito del Papa, “non può diventare un’arma di distruzione di persone, addirittura di popoli. Né deve alimentare la paura davanti a cambiamenti o fenomeni come le migrazioni forzate dalla guerra o dalla fame”. Il giornalismo, ribadisce Francesco, deve invece essere uno “strumento di costruzione”, “un fattore di bene comune, un acceleratore di processi di riconciliazione” che favorisca la “cultura dell’incontro”. Nel giugno 2017, il Papa chiede espressamente ai giornalisti cattolici di “continuare a cercare tutti i mezzi tecnologici e sociali per cooperare alla missione universale della Chiesa di proclamare il Vangelo della pace”. L’occasione è offerta dal Congresso mondiale di Signis a Québec City, dove France- sco si fa presente con un messaggio in cui chiede ai membri dell’associazione cattolica internazionale per la comunicazione di ispirare una “speranza, accessibile a chiunque, proprio nel luogo in cui la vita conosce l’amarezza del fallimento”.
«La verità vi farà liberi»
La continua contaminazione con un linguaggio ingannevole finisce infatti per offuscare l’interiorità della persona. Dostoevskij scrisse qualcosa di notevole in tal senso: «Chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di sé stesso, né degli altri. Poi, siccome non ha più stima di nessuno, cessa anche di amare, e allora, in mancanza di amore, per sentirsi occupato e per distrarsi si abbandona alle passioni e ai piaceri volgari, e per colpa dei suoi vizi diventa come una bestia; e tutto questo deriva dal continuo mentire, agli altri e a sé stesso» (I fratelli Karamazov, II, 2).
Come dunque difenderci? Il più radicale antidoto al virus della falsità è lasciarsi purificare dalla verità. Nella visione cristiana la verità non è solo una realtà concettuale, che riguarda il giudizio sulle cose, definendole vere o false. La verità non è soltanto il portare alla luce cose oscure, “svelare la realtà”, come l’antico termine greco che la designa, aletheia (da a-lethès, “non nascosto”), porta a pensare. La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia,porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso relazionale, l’unicoveramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io sono la verità» (Gv 14,6). L’uomo, allora, scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé stesso come fedeltà e affidabilità di chi lo ama. Solo questo libera l’uomo: «La verità vifarà liberi» (Gv 8,32). Liberazione dalla falsità e ricerca della relazione: ecco i due ingredienti che non possono mancare perché le nostre parole e i nostri gesti siano veri, autentici, affidabili. Per discernere la verità occorre vagliare ciò che asseconda la comunione e promuove il bene e ciò che, al contrario, tende a isolare, dividere e contrapporre. La verità, dunque, non si guadagna veramente quando è imposta come qualcosa di estrinseco e impersonale; sgorga invece da relazioni libere tra le persone, nell’ascolto reciproco. Inoltre, non si smette mai di ricercare la verità, perché qualcosa di falso può sempre insinuarsi, anche nel dire cose vere. Un’argomentazione impeccabile può infatti poggiare su fatti innegabili, ma se è utilizzata per ferire l’altro e per screditarlo agli occhi degli altri, per quanto giusta appaia, non è abitata dalla verità. Dai frutti possiamo distinguere la verità degli enunciati: se suscitano polemica, fomentano divisioni, infondono rassegnazione o se, invece, conducono ad una riflessione consapevole e matura, al dialogo costruttivo, a un’operosità proficua.
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