La sequenza che fa ardere il cuore

L’editoriale di Gesualdo Purziani

Quanto è bella la preghiera, meglio conosciuta come ‘sequenza’ allo Spirito Santo.

La reciteremo in ogni chiesa nella solennità di Pentecoste, domenica, è un concentrato di richieste così vere e necessarie da emozionarci. Le sei qualifiche che vi troviamo per descrivere la nostra condizione umana (sordido, arido, sanguinante, rigido, gelido e sviato) non costituiscono un gran bel ritratto, ma questi siamo noi. Se siamo onesti, sappiamo che è così.

Sequenza allo Spirito Santo

Tutti i più sensibili letterati, poeti, pensatori del ventesimo secolo, non più aggrappati alla consolazione della fede e della speranza, figuriamnoci quelli di oggi, sono arrivati sull’orlo di quell’abisso pauroso che può essere il cuore dell’uomo.

I più colti tra noi potrebbero esercitarsi nello scovare quanti hanno decretato, anche letterariamente, l’ineluttabilità del fallimento umano.

Ebbene Dio, che non fa tante complicazioni, ci conosce, sa come siamo, ci ama: sono proprio la persona che cerca di incontrare, perché è venuto per i malati, per i peccatori, per i noiosi, per quelli – tutti – che proprio non sfuggono alle brutte categorie di cui si occupa lo Spirito. È bello che ci consoli il nostro Dio capace di rimediare alle conseguenze dei nostri peccati. Sottolineo questo realismo di Dio, perché quando ci accorgiamo delle nostre debolezze siamo portati a rattristarci, a ripiegarci su di noi, a sentirci avviliti, a vergognarci di guardare Dio. Al di là di ogni scoraggiamento, ci prendiamo come siamo, con le nostre preghiere aride da cui non viene fuori niente. Non dobbiamo spaventarci di offrire questo niente che siamo a Dio, perché Dio ci ama anche se siamo aridi.

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