Chiesa e disabilità

di A. S.

Nelle comunità cristiane non possono mancare parole e gesti per accogliere le persone con disabilità e vanno formati catechisti capaci di accompagnarle a crescere nella fede e a diventare, da ultimo, loro stesse catechisti, anche con la loro testimonianza.

“L’imperfezione fisica o psichica può richiamare ad una più autentica relazione umana”.

Ne è convinto il filosofo Stefano Toschi, tetraplegico, fondatore e presidente dell’Associazione “Beati noi”, intervenuto al convegno internazionale “Catechesi e persone con disabilità: un’attenzione necessaria nella vita quotidiana della Chiesa”. L’incontro si è tenuto a Roma per iniziativa del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, in collaborazione con il Settore per la catechesi delle persone disabili dell’Ufficio catechistico nazionale Cei, The National Catholic Partnership on Disability e Kairos Forum (fino al 22 ottobre).

“L’attuale società, dove la tecnologia consente ad individui lontanissimi e che mai si sono incontrati di persona di mettere in comune il proprio mondo e il proprio vissuto”, afferma Toschi in un testo cui ha dato voce una giovane collaboratrice, “in apparenza sembra essere la società più connessa di tutti i tempi e con più relazioni (contatti, amicizie, like, cinguettii), ma tali relazioni rischiano di essere esclusivamente e prevalentemente virtuali; soprattutto ci si può dimenticare che alla base della relazione c’è la finitudine, l’essere limitato dell’uomo che ha bisogno di comunicare perché non è autosufficiente e non può raggiungere la propria felicità da solo”. Per il filosofo, anche la grande importanza oggi attribuita “al corpo e alla sua cura nasconde una profonda banalizzazione dei rapporti fisici e reali. Il corpo è visto quasi esclusivamente come soggetto e oggetto di piacere e non anche come un tramite indispensabile della relazione”.

“Proprio per questo – la tesi del relatore – il corpo con qualche problema può richiamare ad una più autentica relazione umana. L’imperfezione fisica o psichica, che in alcune persone è più evidente, mette in luce la non autosufficienza di ogni uomo e così può condurre alla verità della necessità della relazione e della necessaria interdipendenza di ogni essere umano”.

“In un mondo malato di utilitarismo, dove gli individui vulnerabili possono essere sacrificati per un bene maggiore, il principio del bene comune ci ricorda che tutti viviamo con e per gli altri: se un membro soffre, tutti soffrono”. Così la teologa Pia Matthews, docente alla St. Mary University (Londra), nel suo intervento al convegno. “Il principio di solidarietà ci ricorda che siamo tutti responsabili di tutti” mentre, di fronte alla cultura dello scarto, “l’opzione per il povero ci ricorda che sono soprattutto i piccolo agli occhi del mondo ad essere specialmente amati da Dio”. Per Matthews, “nella ricchezza delle diversità della famiglia umana, tutti gli esseri sono fatti ad immagine e somiglianza di Dio e sono chiamati a crescere nella sua grazia attraverso una vita in Cristo. Le persone con disabilità sono fragili, ma allo stesso modo di tutti gli altri perché la fragilità è parte della nostra umanità”. Come ogni essere umano, “anch’esse hanno bisogno di salvezza, di nuova evangelizzazione per crescere spiritualmente, e “sono chiamate alla santità, a partecipare alla liturgia e ed occupare il proprio posto nella comunità ecclesiale”. La Chiesa, conclude la teologa, “ha pertanto nei confronti di queste persone gli stessi doveri che ha verso tutti gli altri fedeli: la catechesi è per tutti e per ognuno”.

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