C’è bisogno di alimentare la cultura della solidarietà

In occasione della terza Giornata mondiale dei poveri, domenica 17 novembre, indetta da Papa Francesco, abbiamo intervistato Giovanni Bomprezzi, direttore di Fondazione Caritas, realtà che da anni svolge servizio a favore dei poveri e degli ultimi del territorio.

“La speranza dei poveri non sarà mai delusa” è il tema della Giornata di quest’anno: quali sono, invece, le “delusioni”? Su cosa bisogna maggiormente informare e lavorare perché l’impegno contro la povertà porti sempre più frutto e crei una cultura più inclusiva?

È fondamentale lavorare, giorno per giorno, sulla società, che è una società sempre più egoista e sempre meno attenta agli altri. L’ostilità nei confronti degli immigrati è solo la punta di un iceberg, che rappresentauna forma di chiusura e di cecità verso le persone che soffrono e che ci stanno accanto.

Faccio un esempio: stiamo percorrendo un interessante cammino di partecipazione in vista delle elezioni comunali, con il progetto “La città che vogliamo”. Si tratta di una forma di democrazia partecipativa che può dare ottimi frutti e creare risorse per la politica.

Al tavolo di lavoro sul tema dei diritti umani, del quale faccio parte, emerge con chiarezza che parlare degli ultimi, dei poveri, dei disabili, non porta voti… Incredibile, no? Questo tema dovrebbe essere al centro di qualsiasi politica! Se una società non guarda “ai suoi figli” più sofferenti, la situazione diventa preoccupante.

La pedagogia dei fatti, tanto cara alla Caritas, la testimonianza attraverso le azioni, è la vera chiave per sostenere una società sostenibile e umana.Dare voce a tutte le positività e alle forme di volontariato, che per fortuna ci sono ancora, significa fare una cultura di solidarietà.

Cosa ostacola maggiormente e, viceversa, cosa favorisce nella nostra chiesa locale la cosiddetta “opzione preferenziale dei poveri”?

L’alibi di sentirci tutti più poveri. La chiusura verso gli altri non a caso è scoppiata, o si è alimentata, con l’esplodere della crisi economica.

Sentendoci tutti più poveri, abbiamo alzato, e stiamo ancora alzando, muri di difesa. Paradossalmente, sta avvenendo un processo diverso a quello che abbiamo visto in passato.

Penso all’immediato dopoguerra: una volta la povertà scatenava la gente all’aiuto reciproco, alla condivisione.

Ora non è più così, ora più che mai

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