Cresima che chiede

di Federica Spinozzi

Le comunità parrocchiali dovrebbero ascoltare seriamente le fatiche degli adolescenti nel sentirsi accolti ed ascoltati

Il dibattito sul sacramento della Cresima si intensifica, come ogni anno, all’inizio delle attività pastorali nelle nostre parrocchie. Cosa proporre ai ragazzi per trasformare la Cresima in una tappa piuttosto che nella meta che segna la fine di un percorso? E sono decenni che la riflessione va avanti, cambiano le generazioni ma la domanda torna inesorabile generando confronti, dibattiti, proposte. Ma il problema resta, anzi si amplia sempre più tanto che qua e là serpeggia un reale senso di rassegnazione.Se lo Spirto Santo ci volesse suggerire altro? Se la cronica crisi del postcresima fosse un grido di ribellione verso una Chiesa istituzione e struttura che soffoca il vangelo dell’amore?

I ragazzi di 13, 14, 15 anni che non accolgono le nostre proposte formative, che non prendono parte alla messa domenicale e si sentono fuori dalla comunità cristiana, non ci stanno forse indicando una nuova strada? E se i lontani, fossimo noi, i genitori, i catechisti, i preti, ancorati a schemi tradizionali e ormai stantii, da lunghi anni incapaci di metterci in ascolto, di metterci in discussione? La stessascelta di riproporre i sacramenti dell’iniziazione in anni particolari della vita dei ragazzi, coincidenti con precise classi scolastiche, è davvero una tradizione irrinunciabile? Ripeterci ogni anno il corposo numero dei cresimati e l’esiguo numero di quelli che proseguono il cammino nei gruppi parrocchiali ha un senso? Se ogni giovane ha i suoi tempi di maturazione e se il tempo compreso tra preadolescenza e adolescenza si sta sempre più dilatando per motivi sociali, culturali, famigliari, perché non rivedere i tempi della proposta? Il grave rischio che corriamo è svilire il senso profondo dei sacramenti, è ridurre una scelta importante ad una consuetudine, ad una semplice usanza.

Certo la resilienza in campo religioso è assai complessa, richiede discernimento, confronto, creatività, pazienza, docilità allo Spirito; è molto più facile restare ancorati alle antiche tradizioni, agli schemi rigidi, al “si è fatto sempre così”. E in fin dei conti l’atteggiamento lamentoso e critico tanto diffuso negli ambienti parrocchiali diventa un paravento dietro cui nascondere indolenza e rigidità. Ma tutto ciò si oppone alla libertà del Vangelo e al modello educativo che Gesù ci ha lasciato. Lui guarda il cuore, non giudica e non classifica (incontro con la peccatrice), lui ascolta, rispetta, attende (la samaritana al pozzo), suscita la domanda e accoglie ogni risposta (il giovane ricco), lui sta tra le folle e il gruppo di discepoli (il discorso delle beatitudini), ma chiama il singolo per nome ed entra nella sua casa (Zaccheo), sta dalla parte degli ultimi, degli emarginati (il buon samaritano). Lui dona amicizia e libertà, entra in relazione con chi incontra e nel rispetto della vicenda umana si fa compagno di strada (Marta, Maria e Lazzaro; i discepoli di Emmaus). E se, azzerato ogni pregiudizio verso i nostri ragazzi, ripensassimo seriamente la proposta cristiana educativa con il vangelo in mano?

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