Giovani vite dentro una grotta

L’editoriale di Gesualdo Purziani

Non sarà facile tirarli fuori da lì, si parla addirittura di mesi. Ma la tenacia e la forza dei dodici giovani calciatori thailandesi, tra gli 11 e i 16 anni, dispersi sottoterra con il loro allenatore dal 23 giugno, ha lasciato stupefatto il mondo intero. Perché, se diamo retta alla parte migliore di noi, siamo fatti per la vita. Anche quando le condizioni ambientali, sociali, materiale sono estreme, anche quando tutto sembrerebbe dirci il contrario.

Dovremmo ricordarlo più spesso di fronte ad ogni vita, proprio per non rischiare che i moti di commozione scivolino via come sono arrivati. La giovane età di questi coraggiosi ragazzi, le energie dei loro corpi e la vivacità della loro mente hanno fatto la differenza. Ma tanto di più, in questa resistenza sfinente nel buio di una caverna asfissiante e fangosa, c’e l’essere insieme, il dirsi a vicenda che qualcuno avrebbe fatto di tutto per farli tornare in superficie.

C’è la speranza, il piccolo lume in fondo al tunnel. Mi torna in mente la vicenda dei 33 minatori cileni rimasti per oltre due mesi intrappolati in una miniera di rame: avevano recitato il Rosario tutti i giorni e questa fu la loro forza. In queste situazioni estreme ci viene immediato affidarci, aggrapparci a quanto conta davvero. Dovremmo imparare da questi drammi, ma si sa che quando tutto procede normalmente, rischiamo di perdere di vista l’essenziale.

San Paolo riassume con grande efficacia questa situazione dicendo che è proprio nella debolezza che si sperimenta la forza. Non dimentichiamolo, nelle piccole e grande grotte di ogni giorno, nelle fatiche che paiono non finire mai: c’è un pertugio, sempre, da cui poter respirare di nuovo aria fresca e pulita.

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