Il giorno più luminoso di tutti
Il Vangelo della domenica di Paolo Curtaz
Pietro e Giovanni corrono nel silenzio della città ancora immersa nel sonno. I mercanti tirano fuori le mercanzie per la giornata dopo il sabato di riposo. Il sole si sta alzando e inonda di luce la pietra beige che riveste le abitazioni di Gerusalemme. Il racconto era iniziato con un tono tragico, inquietante; tutto odorava di morte, di definitività tragica. Poi, come se qualcuno avesse premuto un pulsante, tutto si era animato: Maria era corsa dai discepoli, poi erano corsi Pietro e Giovanni.
Meglio: Pietro e il discepolo che Gesù ama, quello che ha partecipato a tutti gli eventi principali della vicenda di Gesù.
Noi. Io. Siamo chiamati a correre, ad andare a vedere colui che ha ucciso la morte. Cosa vedono di due? Nulla. Un padre della Chiesa, Giovanni Crisostomo, osserva argutamente che vedendo la tomba in ordine capiscono che Gesù non è stato trafugato, nessun ladro si ferma a passare l’aspirapolvere della casa che ha svaligiato. Tutto è iniziato da quella corsa. Quella tomba vuota, ultimo drammatico regalo fatto a Gesù da parte del discepolo Giuseppe di Arimatea, ricco e potente, che nonaveva potuto salvare dalla morte il suo Maestro, è rimasta lì, vuota, aGerusalemme, muta testimone della resurrezione. Adriano, l’imperatore, l’aveva fatta riempire di terra, ed era diventata, insieme alla cava in disuso, ilterrapieno che sosteneva, ironia della sorte, il tempio pagano di Giove. Aelia Capitolina, era stata ribattezzata laribelle Gerusalemme, e, col nuovo assetto urbano da città romana, l’imperatore voleva spazzare via ogni memoria dei giudei e delle loro incomprensibili dispute. Tre secoli dopo la tomba fu riportata alla luce dalla devota regina Elena, madre del primo imperatore cristiano Costantino. La tomba è ancora lì: vi hanno costruito sopra un’immensa basilica, è stata oggetto di pellegrinaggio per un millennio e mezzo, tentarono di distruggerla, pezzo per pezzo, a causa della furia di un sultano, Alì il pezzo, che, evidentemente, non conosceva il Corano. È lì, quella tomba, esattamente lì dove la trovarono Pietro e Giovanni.
Ed è rimasta vuota. Egli è risorto Tutta la nostra fede è basata sull’assenza di un cadavere.
La morte è stata sconfitta.
Il Dio nudo, appeso, osteso, evidente, il Dio sconfitto e straziato, il Dio deposto sulla fredda pietra non è più qui, è risorto. Risorto. Non rianimato, non ripresosi, non vivo nel nostro ricordo e amenità consolatorie di questo genere. Gesù è davvero vivo, risorto, presente per sempre.
Non è facile credere a questa notizia, lo so bene. Incontreremo, in questi cinquanta giorni, la fatica che hanno fatto gli apostoli, che è la nostra, a convertire il cuore a questa sconcertante novità.
Ci vuole fede per superare il proprio dolore. Tutti abbiamo una qualche ragione per sentire vicino Gesù crocifisso. Tutti ci commuoviamo davanti a tale strazio, tutti sappiamo condividere il dolore che è esperienza comune di ogni uomo. Ma gioire no, è un altro paio di maniche, gioire significa uscire dal proprio dolore, non amarlo, superarlo, abbandonandolo. Corriamo anche noi, oggi. Pasqua è la vittoria dell’amore, la pienezza della vita.