Il grido nella scuola

di Federica Spinozzi

La gravità dei fatti accaduti nelle aule italiane impone riflessioni e scelte concrete urgenti

Una settimana particolare per la scuola italiana, sulle prime pagine dei giornali, in vetta ai social network, al centro di dibattiti televisivi. Per chi è insegnante e genitore, per chi vive quotidianamente tra i giovani e spesso discute di comportamenti corretti, di regole, di rispetto verso i compagni, verso gli adulti della scuola, il dibattito è stato soprattutto individuale, interno a se stesso. E confesso che tra mille affermazioni e sentenze, quella che più mi ha colpito e mi ha lasciata davvero interdetta è stata quella della ministra Fedeli: “ …i ragazzi vanno sospesi, il consiglio d’Istituto deve valutare la gravità dei fatti, che secondo me c’è, e gli studenti devono essere sanzionati fino a non essere ammessi agli scrutini finali”. Tali sanzioni sono note a tutti, o quasi, sono in vigore da generazioni e generazioni. Da una ministra ci saremmo aspettati un intervento diverso, una riflessione seria e soprattutto più ampia, che andasse oltre le pareti della scuola, oltre il consiglio di Istituto. Tale banalizzazione e superficialità sin da chi ci governa è forse il nocciolo della questione.

Cosa ci stanno gridando i giovani? Quale inquietudine li abita a tal punto daarrivare a simili gesti? Come siamo passati dalla scuola dove la cattedra era il luogo della paura e dell’autoritarismo,alla cattedra ring dove si scontrano verbalmente e fisicamente docenti e studenti? Riforme su riforme, dalla scuola delle tre I alla scuola delle competenze, ed ora siamo in attesa di una nuova legislazione…La scuola è oggetto di dibattiti per il suo valore sociale, luogo del rinnovamento per eccellenza e della sperimentazione; ma poi tutto è ancora fermo alla scuola che sospende e boccia. Non è difficile riflettere a tavolino e scrivere riforme, definire competenze, studiare nuove metodologie didattiche, ma quando la scuola si trova di fronte ai ragazzi con un volto, con i loro percorsi di studio sovente faticosi, con le loro storie familiari e sociali dolorose, allora la scuola rifiuta la riflessione, mette il voto, sospende e boccia.

Sappiamo solo che l’episodio è accaduto in una scuola superiore di Lucca; non abbiamo altre informazioni né sul professore, né sulla classe, se non la violenza verbale, fisica, e, non secondarie, quella delle risate dei compagni di classe e della mano che senza esitazione ha ripreso l’episodio. Ma tutto questo è sufficiente, anzi sovrabbondante, per portarci a riflettere seriamente, da adulti, sul rapporto tra le generazioni, sul valore che diamo all’educazione e alla formazione dei nostri giovani, sul ruolo delle istituzioni e dei media. Ma se la riflessione, per quanto seria e condivisa, resta nei salotti televisivi o nel cinguettio social, la disfatta sarà inevitabile. Il dibattito avrà un senso se ognuno si metterà in gioco, lì dove si trova, dal genitore all’insegnante, dal nonno all’allenatore sportivo, se tenterà di fare la sua parte, di guardare i ragazzi negli occhi e di entrare con rispetto e autorevolezza nel loro mondo.

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