La brutta comunicazione

Ci sono momenti in cui bisogna tornare ai fondamentali. La vicenda della presunta – e falsa – discriminazione di una donna africana da parte della cooperativa ‘Progetto solidarietà’ di Senigallia e della Fondazione Opera Pia ‘Mastai – Ferretti’ è uno di quelli. Fondamentale, infatti, non è soltanto quanto riteniamo utile e assolutamente necessario. È anche tutto ciò che crea fondamento e solidità a quanto viviamo, così da rendere decisamente più sensata la nostra vita personale e comunitaria.

La ricerca della ‘verità sostanziale dei fatti’ è uno di quei fondamenti, sanciti dalla legge sulla stampa, più ignorati da una categoria che non perde occasione per confermare la sua mediocrità, ad ogni livello. Non c’è più niente che garantisca la correttezza dell’informazione, sono difficilissimi da percorrere gli strumenti di tutela di chi è diffamato o semplicemente messo in cattiva luce da quanto rimbalza nel caotico e sempre meno professionale sistema mediatico. Provare per credere: chiunque abbia vissuto sulla propria pelle la scorrettezza mediatica, nel migliore dei casi può soltanto augurarsi che un altro fatto più eclatante renda reale quel diritto all’oblio che fa mettere velocemente in archivio quanto occupava le prime pagine di un giornale, appena il giorno prima. Ma questo non desta proteste, prese di posizioni, mobilitazioni. Ci rassegniamo ad un modo di fare informazione di questa risma, augurandoci che non tocchi a noi finire in qualche rabberciato racconto. Singolare che la vicenda sia scoppiata proprio nel giorno in cui il mondo celebrava la “Giornata mondiale della libertà di stampa”, lo scorso 3 maggio. C’è chi muore per denunciare fatti gravi, in tante parti del mondo e chi vive con superficialità, se non in malafede, l’enorme responsabilità di raccontare vite ed esperienze. Tanto più in una piccola comunità che si racconta e crea relazioni anche attraverso i propri mezzi di comunicazione. Ed è patetica la difesa di chi si nasconde dietro frasi del tipo ‘abbiamo dato la parola a tutti’. Perché la narrazione si crea quasi al di là delle parole dette, c’è un metalinguaggio, un racconto nel racconto che paradossalmente non tiene conto di dichiarazioni, smentite o conferme. In questo caso, come in tanti altri che hanno abbruttito il giornalismo senigalliese e di cui siamo davvero stanchi, la notizia era soltanto una: ‘licenziata perché nera’!

Mario Vichi, Presidente dell’Opera Pia Mastai Ferretti

Il Presidente della Fondazione Opera Pia ‘Mastai – Ferretti’, Mario Vichi, ha spesso convocato la stampa per raccontare le fatiche di chi vuole garantire assistenza di qualità e prese in carico adeguate agli ospiti di una delle strutture residenziali per anziani più grandi e qualificate della nostra regione. Quando andava bene, a queste conferenze stampa, eravamo in tre. E veniva da chiedersi come mai un tema di grande rilevanza, l’assistenza agli anziani, fosse così bellamente snobbato dagli operatori della comunicazione. Alla faccia della demografia che non smette di impaurirci con i numeri che raccontano un paese sempre più vecchio, colpito da malattie demenziali, in cui lo stato sociale è seriamente messo in discussione da tagli sempre più drastici. Ogni ‘giornalista’ avrà un anziano in casa, tra i conoscenti? O magari si sarà chiesto, almeno una volta, chi si prenderà cura di lui o di lei finiti gli anni della spensierata giovinezza o dell’infinità età di mezzo? Sarebbero bastate queste bieche motivazioni per scomodare le illuminate penne locali. Niente di tutto questo, neanche una riga, o quasi, se non la gentile concessione di pubblicare un comunicato stampa che male non fa. Venerdì scorso, invece (era anche la festa del patrono San Paolino), l’ufficio del Presidente Vichi era letteralmente occupato da telecamere, taccuini, telefonini. Pronti a raccogliere l’ “altra” verità, quella di chi giustamente non ci sta a farsi raccontare come razzista, discriminatore, insensibile alle esigenze di una giovane donna ‘colpevole’ di avere la pelle di un altro colore. E colpo di scena, alla presenza della presunta discriminata che pretendeva di dire la sua anche lì, in quella circostanza nella quale il diritto di parola era per la parte incriminata.

È difficile immaginare il disagio di doversi difendere da un’accusa così pesante. Specie per chi, Mario Vichi ed Anna Paola Fabri, hanno fatto dell’inclusione e della cura delle fragilità, la loro ragione di vita professionale e non solo. Il bravo cronista non personalizza il racconto, ma in questo caso la deroga si impone. Perché sono volti credibili, sono professionalità più che collaudate, sono impegni quotidiani e faticosissimi portati avanti senza chiedere mai nulla per se stessi, se non la voglia di vivere in una città più civile, accogliente, degna della dignità di ogni persona. Forse i ‘guardiani del diritto calpestato’, o i sedicenti cronisti delle istanze dei deboli avrebbero fatto bene a farsi due domandine in più, prima di scatenare il circo mediatico, anche quello più blasonato che a questo punto è avvilente quanto il nostro e di insinuare nella pubblica opinione la macchinazione discriminatoria ai danni di questa donna, per giunta all’ombra della statua di papa Pio IX. Viene seriamente il dubbio che proprio l’essere all’ombra del campanile, in una città nella quale ancora c’è chi non si rassegna all’idea che esista anche un impegno sociale e professionale cristianamente ispirato, abbia mosso qualche smania più o meno sopita e che di tanto in tanto fa capolino per screditare queste realtà così significative e credibili.

Nessuno è immune da errori, così come ogni realtà è perfettibile e se c’è stato un peccato è stato quello di pensare ingenuamente che una situazione di disagio poteva risolversi tranquillamente rispettando le esigenze di tutte le parti in causa. Ma qui è stato detto e raccontato altro, la parola ‘vergogna’ abbinata a queste due imprese sociali è risuonata in ogni dove. E conferma come l’intero sistema informativo cavalchi umori ed argomenti figli di un conformismo mediatico che trova pochissime eccezioni. Il filone ‘Italia razzista’, specialmente dai fatti di Macerata in poi e in mesi di incertezza istituzionale che coinvolge movimenti politici particolarmente sensibili a questo tema, funziona, suscita pruriti, curiosità e, non ultimo, fa vendere giornali e click, così rari da intercettare di questi tempi.

Nel Vangelo leggiamo che la casa costruita sulla sabbia sarà inesorabilmente destinata a crollare sotto le sferzate del vento e delle onde. Proprio perché priva di fondamenta.
Come sono andate veramente le cose, pian piano, lo sapremo. Tutta questa storia, passata l’ennesima bufera che lascia soltanto un grande senso di tristezza per la pochezza degli argomenti e rende ancora più difficile la coesistenza comunitaria, ha avuto soltanto un merito, quello di ribadire ciò che scontato non è: che cioè nella nostra città ci sono belle esperienze professionali da custodire e difendere, che nonostante la fatica del prendersi cura c’è chi lavora e si impegna per garantire una vita buona il più possibile. Nella quotidianità che non fa notizia, nella ricerca di soluzioni in mezzo a mille ostacoli di ogni tipo. Ma soprattutto avendo bene in mente volti di uomini e donne da riconoscere nella loro dignità, di qualunque colore siano. Quella realtà che c’è chi fa finta di non vedere, chi non vorrebbe proprio vedere, chi si illude di raccontare, usando parole che raccontano invece il nulla che esce da quelle penne.

La Redazione

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