L’anno che è capace di cambiare la vita

a cura di Chiara Michelon

Due testimonianze giovani, direttamente dal Servizio civile in alcune strutture della nostra Caritas. Gli incontri, il confronto con le povertà, il desiderio di sentirsi ancora utili.

Si è chiuso l’anno di Servizio civile presso la Caritas diocesana di Senigallia e nel frattempo è subentrato un altro gruppo di giovani. Abbiamo interpellato due dei giovani che hanno vissuto questa originale esperienza.

Annalisa Carbone

Questo anno è iniziato come un gioco, alla ricerca di me stessa e del senso della vita. L’incontro con l’altro durante i colloqui al Centro di ascolto è stato fondamentale: qui ho conosciuto molte persone grazie alle quali ho abbattuto i muri dell’indifferenza e approfondito tematiche finora a me estranee e lontane quali la povertà nei suoi infiniti aspetti. Prima del servizio associavo il povero a colui che non ha denaro, senza pensare che il povero può essere anche colui che non ha amici e parenti o che semplicemente ha problemi abitativi. Il servizio civile mi ha insegnato che il “diverso” è un’opportunità di crescita e non un limite. E mentre cercavo di aiutare il prossimo a “crescere”, mi sono resa conto che stavo crescendo anch’io, grazie a lui e alle emozioni che mi dava.

Margherita Dubini

Durante questo periodo a noi ragazzi del servizio civile Caritas, stata data l’opportunità di fare vita comunitaria. Abbiamo vissuto in un appartamento a Casa San Benedetto, di fianco all’orto della solidarietà e alla falegnameria. La struttura nasce come casa che ospitaragazze madri non accompagnate insieme ai loro figli, infatti l’appartamento di fronte al nostro era abitato da 5 ragazze nigeriasto ne e da 2 bambini, che nel corso dell’anno, con le nuove nascite, sono diventati 6. È stato bello condividere la casa con i compagni di servizio civile, anche nei momenti più pratici della vita quotidiana, cioè fare i turni di pulizia, organizzarci per la spesa, per le lavatrici, per cucinare e per i turni di lavoro. Siamo stati accompagnati in queè percorso da Lucia, don Andrea Baldoni, Stefania e Chiara, che mensilmente condividevano con noi un pasto e che hanno saputo darci una mano a vivere insieme attraverso letture di riflessione e condivisioni. È stato un anno ricco di scoperte, emozioni, amicizie e confronti con altre culture. L’odore di cucina africana che si sentiva per le scale, il ritrovarci a passeggiare in giardino, il partire ogni giorno per un turno di servizio civile insieme, il pianto di qualche bambino nell’appartamento delle ragazze, il timido bussarci a vicenda tra gli appartamenti per conoscerci meglio e giocare con i bambini hanno scandito le nostre giornate per tutti questi mesi. Mi ritrovo arricchita da questa vita comunitaria, sia per le amicizie, più forti e più autentiche, perché il fatto di aver convissuto trasforma ogni legame in una complicità rara, sia per aver vissuto a stretto contatto con le ragazze africane. Sono le giovani mamme africane che mi hanno fatto conoscere le usanze del loro Paese e trasmesso un forte senso di gratitudine per la vita, vivendo ogni giorno come un dono di Dio e l’amore immenso per i propri figli, che per loro sono sempre miracolo, e spesso rappresentano la loro unica famiglia in Italia.

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