Nell’Asia che fatica ad integrare le diversità

di R. V.

Il Papa andrà in Myanmar ed in Bangladesh. La visita nella patria di Aung San Suu Kyi, lacerata da conflitti tra le sue tante identità e il paese islamico segnato dalla povertà

Il 27 novembre prossimo l’aereo di Papa Francesco atterrerà a Yangon, la capitale del Myanmar, prima tappa del suo terzo viaggio in Asia e primo nella ex Birmania, colonia britannica fino al 1948. Il Papa incontrerà la piccola comunità cattolica, 700mila persone su 51 milioni di abitanti, nella Messa del 29 novembre al parco Kyaikkasan e poi i giovani e i vescovi nella cattedrale di Saint Mary. Importanti anche i suoi incontri con il Presidente della Repubblica Htin Kyaw e con il consigliere di Stato e ministro degli Affari Esteri, Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991. All’arcivescovo di Yangon, il card. Charles Maung Bo, Radio Vaticana ha chiesto quali progressi democratici ha fatto il Myanmar, dopo le libere elezioni di due anni fa che hanno interrotto formalmente il regime militare.

Quale Paese troverà il Papa?

Con San Suu Kyi ci sono stati progressi nell’amministrazione pubblica, nel campo dell’educazione e del livello di vita ma i militari controllano ancora la maggior parte del territorio e sono ancora molto potenti. Quindi malgrado i molti progressi, vediamo che comunque la nostra democrazia è ancora in una fase iniziale e molto fragile.

Lei crede che si potrà avviare una vera collaborazione tra le religioni?

Non abbiamo conflitti o difficoltà con i buddisti, i musulmani o gli altri cristiani. Quando la notizia del Papa si è diffusa nel Paese si sono sentiti commenti molto negativi anche da parte di monaci buddisti e di quelli più estremisti, che comunque, alla fine, sembrano ora essere favorevoli all’arrivo del Papa. Al Papa ho chiesto…

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